Con la sentenza n. 16684 depositata il 3 luglio 2013, la Corte di Cassazione ha legittimato la deducibilità delle quote di ammortamento dell’avviamento
anche se, nel frattempo, la società accertata aveva proceduto a
ritrasferire a terzi i beni acquisiti in forza di una precedente cessione d’azienda con una serie di contratti che, a loro volta, sono stati riqualificati come cessione d’azienda.
Nel caso giunto a sentenza, in particolare, la società A (ricorrente) aveva acquisito un’azienda industriale dalla società X, ed aveva successivamente effettuato una serie distinta di cessioni nei confronti della società Z (macchinari, attrezzature, magazzino, beni immateriali) che l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto essere una cessione d’azienda “frazionata”.
L’oggetto della controversia non è, come sarebbe lecito attendersi, l’accertamento del valore dell’avviamento della cessione d’azienda operata da A in favore di Z ai fini dell’imposta di registro, né l’eventuale rideterminazione della plusvalenza
utilizzando anche per le imposte sui redditi i criteri di
quantificazione dell’avviamento adottati in sede di accertamento per le
imposte indirette, bensì la ripresa a tassazione della quota di ammortamento dell’avviamento “derivativo”, ovvero dell’avviamento pagato da A ad X in occasione della precedente cessione d’azienda, che la società A stessa aveva continuato ad ammortizzare.
Confermato il divieto di abuso del diritto
La sentenza 16684/2013 riveste importanza, in primo luogo, in quanto conferma che i principi in materia di divieto di abuso del diritto possono trovare piena e legittima applicazione anche in casi quale quello oggetto della controversia, rappresentando principi generali di matrice antielusiva che
l’Amministrazione può fare valere in tutte le situazioni in cui vi è un
vantaggio fiscale indebito ottenuto mediante l’utilizzo distorto di
determinati strumenti giuridici.
Pur con questa dovuta premessa,
la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza emessa in secondo grado,
che aveva ritenuto legittima la ripresa a tassazione della quota di
ammortamento dell’avviamento. Le ragioni esplicitate dalla Suprema Corte
nelle motivazioni della sentenza vertono sul fatto che la sentenza
della Commissione Regionale è da ritenersi priva di un’argomentazione logico-giuridica nella parte in cui essa ha, da un lato, individuato i vantaggi fiscali conseguibili dalla riqualificazione degli atti in cessione d’azienda
con un riferimento – irrilevante in una controversia avente ad oggetto
le imposte sui redditi – all’imposta di registro all’IVA, e dall’altro
si è limitata ad affermare in modo apodittico l’assioma per cui, in caso di cessione di singoli beni anziché di azienda, “sfuggirebbe a tassazione l’avviamento”.
Secondo la Cassazione non si capisce, in sostanza, in che modo si possa rinvenire un intento elusivo nella cessione frazionata nello specifico caso, posto che ai fini delle imposte sui redditi il risultato delle due opzioni (cessioni di beni, ovvero di azienda) sarebbe stato lo stesso;
ciò sarebbe rafforzato dal contenuto dello stesso processo verbale di
constatazione, che non ha mosso alcun rilevo sul (corretto)
assoggettamento ad imposte sui redditi dei corrispettivi che la società
accertata ha addebitato alla cessionaria a titolo di vendita di macchinari, know-how ecc. e che in sede di accertamento sono stati riqualificati in corrispettivi per la cessione d’azienda (pur avendo il PVC sostenuto che, in realtà, tale prezzo non rappresentava altro che l’avviamento “traslato”
in capo al secondo cessionario, questione evidentemente non valorizzata
dalla Cassazione, presumibilmente proprio per il fatto che non fossero
stati mossi dai verificatori rilievi sulla fiscalità della seconda cessione d’azienda).
Proprio l’insufficiente motivazione del presunto vantaggio che la società accertata ha ritratto effettuando cessioni
separate nei confronti del medesimo soggetto ha, quindi, consentito
alla Suprema Corte di concludere per la piena legittimità
dell’ammortamento del precedente avviamento acquisito a titolo oneroso.
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