giovedì 15 agosto 2013

I canoni non percepiti vanno dichiarati e tassati



La Cassazione, fornendo, con sentenza n. 11158/2013, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 26 (ex 23), comma 1 del TUIR, nel solco del proprio prevalente indirizzo ispirato da una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, ha riaffermato che la mancata percezione dei canoni, a causa della morosità del conduttore, non ne impedisce l’assoggettamento alle imposte sui redditi fintanto che non sia intervenuta la risoluzione del contratto di locazione. La decisione dei giudici di legittimità merita di essere segnalata perché consolida il proprio orientamento e rende tale principio “diritto vivente”.
Il comma 1 dell’art. 26 del TUIR stabilisce – come è noto – che i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale, salvo quanto previsto per l’imputazione del reddito agrario, per il periodo di imposta in cui si è verificato il possesso di terreni e/o fabbricati. I redditi derivanti da contratti di locazione di fabbricati abitativi, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore, mentre per le imposte versate sui canoni scaduti e non percepiti, come da accertamento avvenuto nell’ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità, è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare.



Con sentenza n. 362 del 26 luglio 2000 la Corte Costituzionale, definendo tale norma eccezionale rispetto alla disciplina ordinaria, ha ritenuto che il riferimento al canone di locazione (reddito effettivo) può operare nel tempo soltanto fino a quando risulta “in vita un contratto di locazione” e quindi è dovuto un “canone in senso tecnico”. Qualora invece il rapporto contrattuale sia cessato per scadenza del termine, oppure si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto di locazione, il riferimento al reddito effettivo non è più praticabile, dovendo applicare il regime ordinario del reddito catastale. In altre parole, l’IRPEF sui fabbricati locati va corrisposta in base al reddito locativo, con applicazione delle riduzioni di legge, se superiore alla relativa rendita catastale (rivalutata del 5%), “indipendentemente dalla percezione” del reddito stesso.
Questa regola eccezionale opera solamente fino a quando il contratto di locazione (abitativo, commerciale), rimanga attivo e quindi sia dovuto un canone in senso stretto. In tale ottica la Cassazione, superando un contrario precedente, ha ritenuto che ai fini dell’IRPEF la tassazione del reddito locativo è correlata alla mera maturazione del diritto del locatore a percepire il reddito stesso (fra tante, sentenze n. 20764 del 25 settembre 2006 e n. 24444 del 18 novembre 2005). L’indirizzo contrario, rappresentato dalla sentenza n. 6911 del 7 maggio 2003, è stato modellato sul fondamentale principio dell’art. 53, primo comma della Costituzione, secondo cui il carico fiscale deve essere ragguagliato alla “capacità contributiva”, cioè all’effettiva ricchezza realizzata dal contribuente.
La sentenza n. 11158 del 10 maggio 2013 trae origine dall’impugnazione di un avviso di rettifica della dichiarazione dei redditi per l’anno 1996, con il quale l’ufficio aveva determinato in capo a due contribuenti un maggior reddito da fabbricati in relazione all’omessa denuncia dell’importo corrispondente ai canoni di due contratti di locazione commerciale. I primi giudici avevano respinto il ricorso, mentre i giudici di appello hanno accolto le ragioni dei contribuenti, secondo cui l’importo corrispondente all’ammontare dei canoni doveva essere escluso dal reddito complessivo in quanto detti canoni non erano stati percepiti. L’ufficio si è rivolto ai giudici di Cassazione deducendo la violazione e la falsa applicazione dell’art. 23 (ora 26) del TUIR.
I giudici di legittimità, nel ritenere giuridicamente errata la pronuncia del giudici del riesame, hanno ribadito il principio di diritto secondo cui la mancata percezione del reddito locativo, a causa della morosità del conduttore, non ne impedisce l’assoggettamento alle imposte sui redditi fintanto che non sia intervenuta la risoluzione del contratto di locazione (fra tante, sentenze n. 22588 dell’11 dicembre 2012 e n. 651 del 18 gennaio 2012).
Sicché, fino a quando il contratto di locazione è in essere, i canoni non corrisposti sono comunque rilevanti ai fini del computo della base imponibile laddove si discuta, come nel caso di specie, del reddito fondiario che concorre alla formazione del reddito complessivo in correlazione con la mera titolarità del diritto reale sul fabbricato locato. Infine, è appena il caso di ricordare che sul tema il regime fiscale della cedolare secca è analogo alla disciplina ordinaria (Agenzia delle Entrate, circolare n. 26 del 1° giugno 2011, § 6.1; istruzioni per la compilazione dei modelli Unico PF 2013, fascicolo 1, e 730/2013).

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