sabato 29 dicembre 2012

False partite IVA: ecco cosa dice la norma


 
La riforma Fornero sta spaventando parecchi professionisti che non sanno se rientrano nella categoria delle cosidette “false partite IVA” o se al contrario possono sentirsi esclusi (e dunque al sicuro) da qui ai prossimi anni in cui inizieranno presumibilmente i controlli.
Ma vediamo di affrontare la questione analizzando, per il momento, cosa dice la norma nello specifico.
La Legge 92/2012 prevede che le prestazioni lavorative rese da persona titolare di partita iva sono considerate Co.Co.Co. qualora ricorrano almeno due dei seguenti tre presupposti:
1) la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi (da intendersi civili 1° gennaio - 31 dicembre);
2) il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d'imputazione di interessi, costituisca più del l'80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell'arco di due anni solari consecutivi (da intendersi due periodi di 365 giorni a decorrere dalla data di entrata in vigore della norma, cioé il 18 luglio 2012);
3) il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro, anche in modo non esclusivo, presso una delle sedi del committente.
Si sta affermando dunque che, qualora venissero mai accertati almeno due dei presupposti di cui sopra, un rapporto di lavoro autonomo potrebbe essere per legge trasformato in un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. E' evidente che questo avrebbe un riflesso immediato su due ambiti principalmente: quello previdenziale e quello delle tutele per il rapporto di lavoro.
In ambito previdenziale la differenza sarebbe sostanziale: il lavoratore autonomo con partita iva paga interamente a proprio carico il contributo alla gestione separata in relazione al reddito prodotto (salvo la possibilità di effettuare una rivalsa del 4%), mentre nel rapporto di lavoro coordinato e continuativo il contributo è dovuto dal committente, fermo restando la suddivisione di 2/3 (committente) e 1/3 (collaboratore).
Per quanto riguarda invece le tutele per il rapporto di lavoro, sarebbe necessaria la presenza di un progetto che presupponga un risultato specifico.
Il compenso, in assenza di contrattazione collettiva specifica, non può essere inferiore, a parità di estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
Inoltre, troverebbero applicazione le tutele previste dall'articolo 66 del Dlgs 276/2003: ossia, la gravidanza, la malattia e l'infortunio del collaboratore a progetto non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo.
Il committente potrebbe comunque recedere dal contratto se la sospensione si dovesse protrarre per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a 30 giorni per i contratti di durata determinabile. Mentre, in caso di gravidanza, la durata del rapporto sarebbe prorogata per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.
Il ministero però, ha chiarito che i lavoratori potranno rivendicare la sussistenza di un rapporto i lavoro subordinato invocando gli ordinari criteri distintivi previsti dall'articolo 2094 del Codice civile. Ad analoga conclusione potrà giungere l'ispettore anche se, con particolare riguardo al settore edile, quest'ultimo è chiamato a rispettare i parametri già dettati dalla direzione generale per l'Attività ispettiva contenuti nella circolare 16/2012.

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