sabato 4 gennaio 2014

Affitti: vale solo l'importo scritto sul contratto registrato!


La scrittura privata tra inquilino e proprietario per fissare il canone reale d'affitto – differenziandolo da quello registrato – è un comportamento elusivo della pretesa fiscale e che rientra a pieno titolo nell'abuso del diritto.
Pertanto l'accordo "sottobanco" non può essere considerato «ammissibile e lecito» e neppure può essere sanato con una tardiva registrazione; inoltre l'imposta di registro va pagata in rapporto al contratto fiscalmente valido e il proprietario non può pretendere un affitto superiore a quanto è previsto nell'accordo comunicato al Fisco. Con un'articolata ordinanza interlocutoria (37/14) la Terza civile della Cassazione torna sulla vexata quaestio della validità degli accordi privati tra locatore e conduttore di immobili, per chiedere alle Sezioni Unite di aggiornare definitivamente la giurisprudenza su un tema impervio e molto scivoloso.
Il fatto da cui parte la Terza sezione è un normale quanto frequente contenzioso di sfratto per morosità, dopo che le parti avevano stipulato un contratto "base" per un villino alle porte di Roma (378,35 euro mese) e un accordo integrativo che portava il canone a 1.700 euro, spese comprese.



Dopo nove mesi l'inquilino aveva iniziato a pagare l'affitto "base" – che era poi l'unico regolarmente registrato – ricevendo in cambio una citazione per risoluzione del contratto per morosità. I due gradi di merito, peraltro, avevano dato torto al proprietario di casa, respingendogli la domanda volta allo sfratto e accertando come reale, in un separato giudizio, l'importo dell'affitto previsto nell'accordo fiscalmente registrato.
Secondo il proprietario del villino, che ha presentato il ricorso in Cassazione, i giudici avrebbero dovuto invece attenersi al precedente del 2003 (sentenza 16089) che considera valida e vincolante la scrittura privata «non rilevando, nei rapporti tra le parti, la totale omissione dell'adempimento fiscale». In sostanza, la mancata registrazione non inciderebbe sulla efficacia del contratto di locazione, anche perché il caso specifico era precedente alla Finanziaria per il 2005 (Legge 311/2004, articolo 1 comma 346) che elevò, almeno in via interpretativa, la norma tributaria a norma imperativa capace di determinare la nullità del negozio giuridico (articolo 1418 del codice civile).
Ma a giudizio della Terza sezione è proprio quel vecchio precedente del 2003 a dover essere rivisto e aggiornato, non solo perchè è cambiato il quadro normativo (con la legge 311/04, appunto), bensì pure quello giurisprudenziale – con le famose sentenze in serie sull'abuso del diritto (2016/09; 17642/12) – e infine anche quello dottrinale, con la teoria della causa concreta del contratto.
E proprio in relazione all'abuso del diritto – cioè analizzando le operazioni del contribuente per verificare che l'unico scopo dell'agire sia stato l'ottenimento di un (indebito) risparmio fiscale – il giudice non può che arrivare alla conclusione che il contratto "integrativo" dell'affitto registrato sia un accordo a causa illecita, cioè nullo.
Secondo il relatore questa nullità del patto "segreto" non può essere sanata in alcun modo dalla registrazione tardiva, perché in ogni caso la pretesa del Fisco dovrà fermarsi a quanto dichiarato dalle parti nell'accordo registrato all'origine. Con l'ulteriore effetto, in tal modo, che «al locatore non è comunque consentito percepire legittimamente un canone maggiore di quello originariamente assoggettato ad imposta». Ciò non significa che l'importo dell'affitto non possa essere modificato nel corso della durata del contratto, ma solo in caso di «un nuovo accordo novativo di quello scritto e registrato» e a sua volta assoggettato a corretta imposizione fiscale. In sostanza «deve trattarsi invero non già (...) di un mero escamotage per realizzare una finalità di elusione fiscale, bensì di una contrattazione rispondente alla volontà delle parti».
Vista la complessità e il numero dei precedenti sul tema, la Terza civile dopo aver espresso il nuovo indirizzo chiede però alle Sezioni Unite di mettere ordine definitivo sulla questione «al fine di evitarsi, in una materia connotata da una diffusissima contrattazione e caratterizzata da un'accentuata litigiosità, un contrasto potenzialmente foriero di disorientanti oscillazioni interpretative che potrebbero conseguirne».
(Fonte "Sole 24 Ore" - 04.01.2013)

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